Ti racconto la mia traduzione - conclusione
C'era una volta Alain Delon - "Un Siciliano a Parigi - Anamorfosi in sessanta episodi" di Lucio Attinelli
Dopo tre giorni di tempesta, Saint-Tropez cercava di ritrovare il suo vero volto di cittadina balneare della Costa Azzurra. Strade interrotte, centrali telefoniche allagate, il cielo era nero. Il sole era sparito, si sarebbe addirittura detto che non fosse mai esistito.
In quel paradiso tempestoso, a La Capilla, una villa eretta in cima a una collina che domina la baia di Saint-Tropez, per la regia di Jacques Deray, Alain Delon girava La Piscina con Maurice Ronet e Romy Schneider, di ritorno al suo fianco dopo aver sposato l’attore e regista tedesco Harry Meyen, il padre del figlio David.
Cedendo ai vecchi demoni del giornalismo, avevo lasciato l’Unesco per qualche giorno. Il direttore dell’Europeo era riuscito a vincere le mie ultime esitazioni. Per il settimanale, avrei incontrato Delon.
Sensibile come i gatti all’atmosfera elettrizzata che precede i temporali, Alain mi accolse a modo suo: cortesia, eleganza, freddezza.
Nessuna intervista, mio caro! Sulla mia vita privata, Nathalie, la mia futura ex-moglie, ha già detto tutto. Non le basta? Divorziamo. Che altro dire? La vita di un attore dovrebbe iniziare con Silenzio, si gira!, all’inizio del film e finire quando si spengono i proiettori.
Cominciamo molto male, gli dissi.
Alain insistette:
Lo so, il pubblico ha bisogno di crearsi dei miti. Ha bisogno di credere a un mucchio di sciocchezze, a tutte quelle menzogne che la stampa gli dà in pasto per anni dopo averci osservato come topi da laboratorio. Se fossi, che so io, dentista o avvocato, andrebbe tutto diversamente…
Cosa potevo rispondergli? Per contestare a modo mio le sue argomentazioni, gli servii, andando un po’ contro me stesso, la solita banalità che la vince su tutte.
Il prezzo della gloria…
Nonostante le nuvole che si addensavano sulla sua testa – un divorzio doloroso aggravatosi con “l’affaire Markovic”, dal cognome del suo autista e guardia del corpo jugoslavo, il cui assassinio si mescolava a un complotto politico ordito contro Georges Pompidou, che alcuni dei suoi avversari politici avrebbero voluto screditare a ogni costo –, Delon sembrava calmo, posato, sebbene nutrisse un’aggressività latente. Dotato di un vero self-control, aveva imparato a valutare le situazioni, a conservare le giuste distanze dalle cose della vita. Aveva imparato il mestiere di uomo pubblico.
Il volto dei suoi inizi, quel volto dallo sguardo profondo e triste da adolescente, aveva assunto lineamenti più duri. Lo sguardo era più fermo, deciso, contenuto e anche più acuto. Solo il suo sorriso ricordava ancora il giovane inquieto di Rocco e i suoi fratelli, il capolavoro di Luchino Visconti, l'amico che per molto tempo fu per lui una guida, un amico, un maestro; colui attraverso il quale è entrato a far parte per sempre della Storia del cinema mondiale.
A trent’anni, Delon poteva dirsi “arrivato”. La sua carriera aveva fatto passi da gigante. Frank Costello, faccia d’angelo, il "Samurai" Jean-Pierre Melville, un altro capolavoro, l'aveva posto per sempre tra i grandi della settima arte.
È uno dei miei film preferiti, mi disse a tal proposito. Nella mia carriera, c’è Il Gattopardo e Rocco e i suoi fratelli di Visconti, Delitto in pieno sole di René Clément, e Frank Costello, faccia d’angelo di Melville.
Successivamente, colui che è forse oggi uno dei più grandi attori del nostro tempo ha girato altri capolavori, tra cui Mr. Klein, di Joseph Losey, un diamante. Un film che i suoi detrattori non gli perdoneranno mai di aver interpretato.
Delon accese una sigaretta. Gli chiesi:
In questi film, quale personaggio le somiglia maggiormente?
Sembrava esitante, imbarazzato.
Tutti e nessuno. In Delitto in pieno sole, ero un sadico, un maniaco, un criminale. Ne I tre avventurieri di Robert Enrico, ero un giovane romantico. In Frank Costello, faccia d’angelo, interpreto il ruolo di un uomo solo che vive al margine della società, un solitario nel senso metafisico del termine. Eppure, malgrado questa diversità, all’uscita di ognuno di questi film c’è stato sempre qualcuno che mi ha detto: “Ti ho visto al cinema, è pazzesco quanto ti somiglia quel personaggio!”. Ora, se ciò è vero, se davvero somigliassi a loro, sarei un mostro!
Ce n’è sicuramente uno al quale lei si sente più vicino, no?, insistetti.
Frank Costello, faccia d’angelo è forse il film in cui, direi “involontariamente”, la simbiosi tra il personaggio e l’attore è veramente forte. In realtà, l’unico film in cui tutto questo sarebbe potuto succedere veramente è l’adattamento de Lo straniero di Camus, se mi avessero chiesto di interpretarlo. Ahimé! Visconti ha preferito dare quel ruolo a Marcello Mastroianni. Eppure, Dio solo sa quanto quella solitudine, quell’angoscia, quell’universo siano miei!
Uno strano sguardo, un silenzio, poi Delon aggiunse:
Vede, sono un solitario. Gli esseri umani mi deludono ogni giorno di più. L’amore, la passione, la maggior parte delle relazioni umane, da intendersi nel senso borghese del termine, sono solo fumo, nient’altro che fumo. Oggi tutto è un gioco superficiale, fittizio. Persino il sesso sta diventando un mito che sostituisce la religione. Al sesso si dedicano film, giornali, foto e quadri… si fa di tutto per celebrarlo e per soddisfare la sua sete…
–Il boom del sesso! Una demistificazione?, gli chiesi.
La sua risposta:
No, al contrario! Le ho detto che è la nascita di un mito, un mito da vendere. E le persone corrono, comprano, si avvelenano la vita per dei valori fasulli, per delle illusioni mortali. Mi creda, meglio star da soli che cercare un dialogo impossibile con gli altri. La nostra civiltà, del resto, non produce più speranza, men che meno solidarietà! Certo, nella vita c’è l’amicizia, ma quella è un’altra storia…
Delon mi sembrò assente a se stesso come se i suoi vecchi demoni lo avessero catturato nuovamente. Sfregandosi le mani e pur sfoderando un sorriso, mi fece capire che il nostro incontro giungeva al termine.
Un’ultima cosa, gli dissi a quel punto. Ho qui un test che dovrebbe svelare le vere attitudini di ognuno al matrimonio. Mi piacerebbe sottoporglielo. Posso?
–Certo, vada!, rispose.
I dati, innanzitutto: Immaginiamo una città divisa da un fiume. Una coppia, Pietro e Maria, abitano nella sponda destra. Nella sponda sinistra abita Giovanni, l’amante di Maria. Per passare da una sponda all’altra ci sono solo due modi: 1) Utilizzare un gommone-traghetto e pagare la quota; 2) Passare da un ponte metallico che collega le due sponde. Ma in questo secondo caso c'è un problema: su quel ponte si nasconde un cecchino, uno sniper armato di cui tutti conoscono l'esistenza e che uccide chiunque passi da lì, a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Ora, la storia: Un giorno che Piero è andato a caccia, Maria approfitta della sua assenza, prende il gommone, raggiunge l’altra sponda del fiume e va a casa di Giovanni, l’amante, per passare la notte con lui. L’indomani, all’alba, prima che il marito rientri, Maria va a prendere il traghetto. Ma, accorgendosi di non avere soldi, torna indietro e chiede a Giovanni di prestarle la somma necessaria. Giovanni, che da un po’ cerca di rompere la loro relazione, con il pretesto che la leggerezza e la mancanza di senso di responsabilità di Maria lo esasperano, rifiuta di darle il denaro per “punirla”. “Così impari!”, le dice per di più, cacciandola da casa. Col tempo contato, Maria se ne va, cerca di convincere il traghettatore a farle credito. Invano. Disperata passa dal ponte, dove il cecchino non ha alcuna difficoltà a fare centro.
Conclusione: su chi, dei quattro protagonisti della storia (Pietro, Giovanni, il traghettatore e il cecchino), ricade la responsabilità della morte di Maria? Ecco a lei, Alain, me li può mettere in ordine decrescente?
Fissandomi col suo sguardo d’acciaio, Delon, che mi aveva ascoltato in assoluto silenzio, tacque. Poi, con la sua mano da pugile ornata, al polso, da un bracciale, una treccina in peli d’elefante che non lo abbandona mai, prese la mia penna, scarabocchiò qualcosa e mi restituì il tutto con un gesto stanco. Alla domanda “Di chi è la colpa?”, senza ulteriori commenti, la sua risposta, scritta in maiuscolo, fu lapidaria: LA VITA!
Tradurre è amare le storie; tradurre è diffonderle in un’altra lingua affinché lettori affini a me le amino.